Per la produzione di interstellar, il nuovo kolossal diretto da Christopher Nolan, è stata richiesta la consulenza scientifica di Kip Thorne, uno dei più famosi fisici teorici americani esperti di gravitazione. Il film poggia, dunque, su solide basi e gioca con gli effetti più spettacolari della relatività generale. Cogliamo l'occasione per divertirci ad analizzare dal punto di vista fisico alcuni passaggi del film ed a mettere in luce alcune “licenze poetiche” degli sceneggiatori.
Wormhole
Il wormhole, letteralmente “buco di verme”, è un ipotetico cunicolo spazio-temporale che, se attraversato, permetterebbe di viaggiare tra punti distanti dell’Universo impiegando molto meno tempo di quello necessario alla luce nello spazio normale.

L’esistenza di questo tipo di scorciatoia è stata teorizzata quasi 80 anni fa da Einstein e Rosen (da cui il nome alternativo ponte di Einstein-Rosen) e appare come una possibile soluzione delle equazioni della relatività generale. Nessun oggetto simile è stato sperimentalmente rilevato mentre le questioni sulla sua reale esistenza, stabilità e percorribilità sono, ancora oggi, oggetto di intenso dibattito. Nel film un wormhole è apparso nei dintorni di Saturno e il suo attraversamento permette all’equipaggio a bordo della Endurance di raggiungere il sistema planetario obiettivo della missione.

Buco nero e slittamento temporale
Uno dei protagonisti assoluti di Interstellar, che attende i nostri eroi all’uscita del wormhole, è Gargantua, il buco nero rotante e omonimo del gigante dall’enorme appetito di François Rabelais.

Il buco nero altro non è che il destino finale evolutivo di una stella molto massiccia la quale, esaurito tutto il combustibile a disposizione, esplode nei suoi strati esterni come Supernova. La parte centrale rimanente, molto densa e priva di forme di energia, inizia un’inesorabile contrazione sotto il proprio peso che, se sufficientemente massiccia, non troverà equilibrio. La velocità di fuga cresce al diminuire del raggio del corpo e arriverà presto a superare la velocità della luce. A quel punto un buco nero si è appena formato: niente potrà più uscire dal suo interno, nemmeno la luce. L’orizzonte degli eventi delimita il confine tra dove è possibile, in teoria, tornare indietro e dove, invece, tutto è destinato a convergere verso la singolarità centrale. In prossimità di tali corpi estremamente densi e massicci, la relatività generale mostra tutto il suo fascino, con i suoi paradossi e gli stravolgimenti del senso comune. Le equazioni della relatività ci dicono che il tempo non è una dimensione assoluta e distaccata, che scorre universalmente sempre uguale, ma fa parte insieme allo spazio tridimensionale di un’entità più complessa a 4 dimensioni: lo spazio-tempo. Qui, cambiando sistema di riferimento, il tempo e lo spazio si mescolano insieme in base alle trasformazioni di Lorentz, in modo analogo a ciò che avviene quotidianamente alle componenti della velocità nell’ordinario spazio a tre dimensioni: non è stravolgente pensare che, salendo su un treno, gli alberi che prima vedevo fermi adesso mi appaiono in moto. Gli effetti della relatività, infatti, ci sembrano così assurdi e inconcepibili proprio perché abitualmente ci spostiamo a velocità infinitesime rispetto alla luce o abitiamo su un pianeta ben lontano da una possibile sorgente di campo gravitazionale come Gargantua. In relatività generale la metrica, responsabile in qualche modo della misura delle lunghezze spaziali e degli intervalli temporali, cambia in base alla posizione e al tempo. E’ così che, in prossimità del buco nero, lo spazio-tempo viene deformato dalla gravità e lo scorrere del tempo diventa più lento relativamente ad un osservatore lontano. Passano così ben 23 anni per Romilly, rimasto sulla Endurance, a fronte di poche ore sul pianeta scoperto da Miller. Il tempo diventa “una risorsa, come l’ossigeno o il cibo”. Ma è davvero fisicamente possibile un simile slittamento temporale?